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Nba, Mitchell ai Cavs: l’All Star finisce a Cleveland

C’è una nuova contender a Est: i Cleveland Cavaliers hanno deciso di fare le cose perbene, e per la prima volta da quando LeBron James ha deciso di portare i suoi talenti a Santa Monica sulle rive del lago Erie si comincia a respirare un’aria diversa che profuma di play-off. E forse anche qualcosa di più, perché la trade che ha portato Donovan Mitchell in Ohio è forse seconda per importanza in questa estate soltanto a quella che ha portato Rudy Gobert ai Wolves. Due mosse partite tutte da Salt Lake City, dove i Jazz hanno deciso di archiviare un ciclo avaro di soddisfazioni dando vita a uno dei più grandi rebuilding degli ultimi anni, fatto di ben 13 scelte al primo giro da qui al 2029. Utah ha voluto rompere i legami col passato: per spedire Mitchell ai Cavs ha voluto in cambio Lauri Markkanen, Ochai Agbaji, Collin Sexton e tre prime scelte non protette ai Draft 2025, 2027 e 2029 e due cambi di scelte (cioè i Jazz prenderanno quella migliore al medesimo giro) nel 2026 e 2028. Se saprà pescare bene negli anni a venire, Danny Ainge (GM di Utah) potrà ripercorrere le orme di quanto fatto con Boston nell’ultimo decennio, dove ha contribuito a mettere a roster gente come Tatum, Brown, Smart, Williams III e via dicendo. E in fondo è una situazione intrigante, seppure necessiti di un po’ di pazienza.

UTAH FA INCETTA DI SCELTE: IL REBUILDING È TOTALE

A Cleveland, invece, la pazienza l’hanno già messa a frutto negli anni passati. Liberarsi di Sexton era diventato quasi una necessità, averlo scambiato per Mitchell è tanta roba. Certo, qualcosina sul piatto Koby Altman doveva lasciare: Markkanen s’era inserito a meraviglia nello spogliatoio, tanto che la sensazione era che fosse Cedi Osman la pedina sacrificabile. I Jazz però hanno fatto capire che volevano di più per chiudere la trade e il finlandese (impegnato a EuroBasket) è stato sacrificato per arrivare a un All Star affermato e affamato. L’unico pericolo, pensando a Mitchell, è di capire se il mancato approdo ai Knicks in qualche modo possa fargli considerare la soluzione Cavaliers come un ripiego: la guardia era affascinata all’idea di diventare un’icona nella grande mela, ma ai Cavs troverà un roster più predisposto per lottare da subito per il vertice e con un’età media talmente bassa da pensare che in futuro le cose non potranno che andare meglio. Cleveland ha alzato l’asticella: se gli infortuni daranno tregua, a Est potrebbe diventare una contender degna di tal nome. Perché Mobley, Allen, Garland e Mitchell garantiscono punti (tanti) e difesa (magari da perfezionare), aspettando che arrivi anche un tiratore a chiudere il cerchio (e c’è Love sesto uomo). I Jazz, semplicemente, hanno deciso che un presente di vacche magre val bene un futuro potenzialmente assai luminoso.

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