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Motogp, l’ultima di Andrea Dovizioso

E chi l’ha detto che la semplicità non possa rappresentare la migliore delle virtù. Andrea Dovizioso dell’ordinario ne ha fatto un vanto, oltre che un modo di affrontare la vita: pilota schivo e riservato, il forlivese a Misano vivrà l’ultimo week-end in carriera nel motomondiale, perché in fondo il ritorno alle corse nel team Yamaha RNF non è stato pari alle sue legittime aspettative, e lasciare sulla pista nella quale ha mosso i primi passi è forse la cosa migliore che potesse fare. In questa MotoGP, dove i giovani ormai hanno preso il sopravvento, non c’è più posto per un campione “normale” come il Dovi, che negli anni del dominio incontrastato di Marquez e dell’HRC è stato l’unico in grado di far venire le bolle alla casa giapponese e al pilota spagnolo. Avesse conquistato un titolo iridato, forse sarebbe stato consegnato alla storia come uno dei più grandi di sempre. Ma a Dovizioso è sempre piaciuto fare le cose bene, senza inseguire sogni rivelatisi troppo grandi anche per uno tosto e metodico come lui.
L’UNICO A METTERE IN SUBBUGLIO IL REGNO DI MARQUEZ
“Te Dovi sei dello stesso colore dell’asfalto”, gli disse un giorno Luca Cadalora. Uno che poteva comprenderlo al meglio, un altro che un titolo lo avrebbe meritato, sfortunato però ad aver incontrato Mick Doohan lungo il cammino. Dovi in effetti per anni è stato uno che s’è mimetizzato con la pista: appariscente zero, lavoratore serio, badava alla sostanza e cercava di sgomitare in un mondo dove farsi largo era una missione spesso fuori portata. E per questo non stava nemmeno troppo simpatico a rivali e addetti ai lavori. Perché mentre Valentino attirava i flash su di sé, lui li schivava quasi di gusto. E così facendo pochi si accorgevano di quanto andasse forte: campione del mondo 2004 in 125, poi secondo nel 2006 e nel 2007 in 250, sempre dietro a Lorenzo. La MotoGP gli apre le porte grazie alla Honda e nel 2009 arriva la prima vittoria in top class, a Donington Park, su pista umida (pochi come lui andavano forte sull’acqua) e in una domenica dove i big insolitamente restarono a guardare. Il ciclo Honda si chiude con un terzo posto mondiale nel 2011, poi arriva la Ducati e dopo anni di apprendistato dal 2017 al 2019 arriva secondo dietro a Marquez, portando la Desmosedici al livello più alto dai tempi di Stoner. I duelli epici ed entusiasmanti con lo spagnolo caratterizzano un triennio nel quale Dovi dimostra di essere degno di essere chiamato campione, e non solo “normal one”. Già durante la pandemia capisce che il suo tempo in MotoGP è terminato: il ritorno in Yamaha, di fatto al posto di Rossi, è un sunset boulevard che a Misano arriverà al suo culmine. E magari un pianto sotto al casco ci scapperà per davvero.
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