Calcio

Pelé, la morte di un mito in un 2022 infausto

Il calcio piange un altro suo figlio, uno dei più bravi, sicuramente uno dei più iconici di tutti i tempi: Edson Arantes do Nascimento, noto come Pelè, è scomparso a 82 anni, sconfitto da un tumore al colon contro il quale combatteva già da qualche anno. Il 2022 si conferma anno infausto per il mondo del calcio, soprattutto nell’ultimo periodo, con i lutti per le morti premature di Sinisa Mihajlovic e di Fabian O’Neill.
Da giorni al capezzale di O’ Rey, i suoi familiari ci hanno costantemente tenuti aggiornati sulle condizioni di salute del tre volte campione del mondo, l’unico a riuscire ad alzare tre volte al cielo la Coppa Rimet, con i trionfi del 1958, 1962 e 1970, l’ultima in finale contro l’Italia. “Tutto ciò che siamo è grazie a te. Ti amiamo infinitamente. Riposa in pace”, con questo messaggio, la figlia Kely Nascimento, ha avvisato il mondo intero della scomparsa del padre.Da lì in poi è stato un susseguirsi di notizie e lacrime, di post sui social, di ricordi commossi, di commenti e ammirazione. In tutto il mondo si sono sprecate parole, frasi, fotografie che ritraggono Pelè con indosso la maglia verdeoro del Brasile, indossata la prima volta a soli 17 anni ai Mondiali in Svezia nel 1958, quando il calcio si accorse di una nuova luminosa stella pronta ad attraversare oltre 20 anni di storia del football con giocate sopraffine, dribbling e gol, tanti gol, oltre 1.200 quelli realizzati, che fanno di Pelè il calciatore più dominante sotto porta.

Nato il 23 ottobre del 1940, ha vissuto una carriera intera, o quasi, al Santos, vincendo 11 titoli nazionali e 5 internazionali. Il presidente dell’Inter, Angelo Moratti provò a portarlo in nerazzurro, ma dal Brasile Pelè si sarebbe mosso soltanto a fine carriera, per giocare due anni negli USA con i New York Cosmos assieme ad altri campioni del calibro di Beckenbauer e Chinaglia. Con il Brasile ha giocato 92 partite e segnato 77 reti, le prime 5 al Mondiale in Svezia quando non ancora maggiorenne trascinò i verdeoro alla conquista del titolo, che mise fine a 8 anni disastrosi per la nazionale reduce dal Maracanazo e dell’eliminazione ai quarti di finale nel 1954.

Nel 1970, ormai 30enne, dato sul viale del tramonto, diede ancora una volta prova della sua immensità calcistica domando l’Italia, stanca dopo il 4-3 alla Germania, segnando un gol di testa che sarebbe entrato nei libri di storia. Ebbe anche il tempo di partecipare al film di successo “Fuga per la vittoria”, assieme ad attori del calibro di Sylvester Stallone e di altri campioni del pallone, tra cui l’argentino Ardiles. Sua la celebre rovesciata che servì alla squadra dei prigionieri per battere i gerarchi nazisti.

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