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Tennis, la dura risalita di Djokovic

NOLE A TEL AVIV PER PUNTARE A UN FINALE DI 2022 DA PROTAGONISTA

Non metteva piede in Israele da più di 15 anni: il ricordo di quell’esperienza è ancora fresco, perché “i tifosi israeliani sanno come fare rumore quando c’è da sostenere i loro beniamini”. Tutto merito di una sfida di Coppa Davis tra i padroni di casa e l’allora Serbia e Montenegro, della quale un appena 19enne Novak Djokovic faceva già parte con tutti gli onori del caso. A distanza di così tanto tempo, le strade della vita e della racchetta hanno riportato Nole a Tel Aviv, pronto a dare battaglia nel torneo ATP 250 che di fatto apre la sua stagione d’autunno sul cemento indoor.

Scelta anticonvenzionale ma dettata dalla necessità di mettere in cascina quanto più fieno in vista dell’ultima parte di un 2022 che per il serbo, ex numero uno del mondo, ha somigliato tanto a un calvario, iniziato con il balletto del “gioco o non gioco” agli Australian Open e proseguito poi con l’impossibilità di prendere parte ai tornei nordamericani di fine estate. In mezzo, unica gioia (non certo effimera), il trionfo di Wimbledon, ma senza punti in palio per colpe (almeno quelle) non sue. E così, con una classifica da raddrizzare (oggi è sceso alla numero 7) e una Race to Turin da blindare per garantirsi un posto alle Nitto ATP Finals, a Djokovic non è rimasto altro da fare, se non rimboccarsi le maniche e accettare di andare a giocare in un normale ATP 250 ai confini tra l’Europa e il Medioriente.

L’ORGOGLIO FERITO DELL’UOMO, PRIMA CHE DELL’ATLETA

Le lacrime versate la settimana scorsa a Londra, negli istanti in cui Roger Federer diceva addio per sempre al tennis, gli hanno fatto pensare che anche a lui piacerebbe chiudere un giorno la carriera alla stessa maniera. Ma Nole sa di non essere amato tanto quanto lo è e lo sarà sempre Federer, e questo è diretta conseguenza del suo carattere spesso impulsivo, certo deciso e mai avvezzo a troppi compromessi. Djokovic è fieramente figlio della sua terra, ma in qualche modo il tennis gli è debitore e le vicende che ha subito negli ultimi mesi dimostrano quanta ipocrisia ci sia intorno a certi argomenti.

Nole ha pagato per tutti perché famoso e perché bersaglio “facile” da colpire, ma ha incassato i colpi con umiltà e in silenzio. A Tel Aviv vuol solo mettersi alle spalle mesi di incomprensioni e accanimenti che hanno fatto male più al mondo del tennis che non alla sua anima, ferita ma mai doma. Per questo Djoko è pronto a reagire: superato un problema al polso, ma costretto a rinunciare al doppio nostalgia con l’idolo di casa Erlich (che s’è infortunato prima di cominciare il torneo d’addio), contro Andujar negli ottavi proverà a rimettere l’asticella al proprio posto. E poi passerà da Nur Sultan (ATP 500) e a Parigi-Bercy per arrivare a Torino e chiudere l’anno più tribolato della sua esistenza sportiva e terrena con un altro titolo. E riprendersi ciò che altri gli hanno tolto.

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