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Tennis, la favola di Brandon Holt: il figlio di Tracy Austin più forte del tumore

Sembrava il derby più scontato, s’è rivelato alla stregua di una delle più grandi sorprese della giornata inaugurale degli US Open. Quella che ha tenuto a battesimo un volto nuovo che dopotutto tanto inedito non è, se è vero che negli occhi e nei lineamenti di Brandon Holt si può riconoscere il viso di una che a Flushing Meadows ha fatto la storia.

Ma quando vinceva Tracy Austin, ancora il giovane Brandon avrebbe dovuto pazientare quasi due decenni prima di vedere la luce. Il sangue materno però qualcosa gli ha portato, se è vero che a distanza di più di 40 anni dai due trionfi della mamma nell’ultimo slam della stagione il figlio ha trovato il modo per avanzare fino al tabellone principale, dove s’è preso il lusso di estromettere immediatamente dal torneo nientemeno che Taylor Fritz (testa di serie numero 8). Una vittoria a suo modo storica, con l’abbraccio e il bacio finale della mamma che ha suggellato un’impresa che trascende il puro e semplice lato sportivo. Perché la storia di Brandon va oltre il tennis, e in qualche modo ha il sapore di una favola a lieto fine.

LA GRANDE PAURA, IL SOLLIEVO E IL RITORNO DIROMPENTE

Un anno fa di questi tempi l’orizzonte era piuttosto scuro: un dolore ricorrente al polso destro ne aveva consigliato una visita approfondita, utile per scoprire che il motivo di tale fastidio era dovuto a un tumore osseo benigno. L’intervento tempestivo del dottor Steven Shin gli ha permesso di tornare a giocare dopo mesi nei quali la racchetta è rimasta chiusa nella sacca, con la mamma Tracy che per prima ha aiutato il figlio a riprendere confidenza con il mezzo alla fine della scorsa estate. Non c’era una data certa per il ritorno sulle scene, a onor del vero non c’era neppure la certezza di poter ricominciare a giocare. Ma la vita ha dato una seconda chance a Brandon, che da junior non ha fatto mai parlare troppo di sé, se non per il fatto di essere il figlio di Tracy.

Questo perché prima voleva badare a studiare, impegnandosi per ottenere la laurea alla University of Southern Californian. Solo a 22 anni è passato professionista, proprio nel momento in cui è piombata la pandemia: un anno di buoni propositi, poi la scoperta del tumore ha azzerato quasi tutto, obbligandolo a ricominciare daccapo e da un ranking appena sotto i primi 1000 al mondo. Ma la rincorsa verso le prime 300 posizioni è stata esaltante e impetuosa: ha vinto le prime 18 partite disputate, imponendosi in tutti e tre i tornei Futures di Cancun e ripetendosi poi a Nottingham ad aprile. A Newport contro l’olandese Brouwer a luglio ha vinto la prima partita nel circuito ATP, poi agli US Open ha superato tutti e tre i turni di qualificazione, rovesciando Fritz in quattro set e rivelandosi al mondo. Una favola americana, con un futuro tutto da scrivere.

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